Fonti di approvvigionamento idrico
BACINI IDROGEOLOGICI ODIERNI
I deserti del Sahara e Arabico hanno falde artesiane molte profonde – parzialmente in grado di rinnovarsi – che si conservano all’interno di due strati di sedimenti impermeabili, enormi riserve di acqua fossile di epoca preistorica: il sistema acquifero Arabico in Oman, Yemen, Arabia Saudita; il più grande di tutti, l’Acquifero Nubiano (ANS) in Libia, Egitto e Sudan; l’Acquifero di Mourzouq in Libia; l’Acquifero del Sahara Settentrionale (SASS) che comprende l’Acquifero dell’Albien e l’Acquifero del Grande Erg Occidentale in Algeria, Tunisia e Libia; l’Acquifero del Taoudeni tra Mali, Mauritania e Algeria; l’Acquifero dell’Iullemmeden in Niger, Mali e Algeria.
PRECIPITAZIONI
Le precipitazioni in ambiente desertico sono quasi nulle. La portata idrica di sporadiche piogge sui rilievi sahariani e arabici si conserva però – in luoghi e modi diversi – nel sottosuolo. Quando le acque libere non vengono sfruttate immediatamente a ridosso delle montagne, attraverso sbarramenti e cisterne – ad esempio i resaf in Yemen – o non si fanno strada con piene improvvise negli alvei dei fiumi preistorici, le piogge filtrano attraverso le fratture dei massicci montuosi e si annidano nelle porosità di rocce permeabili sugli altipiani. Si creano così le falde freatiche, ma anche quei micro-flussi che migrano per migliaia di chilometri e lentamente penetrano nei grandi ammassi sabbiosi dell’erg, oppure scorrono sotterraneamente – attraverso i tracciati di antiche valli fluviali e di estese superficie alluvionali – fino ai bacini delle grandi depressioni, le sebkha: il punto terminale della rete idrografica della preistoria, che ha perduto il suo sbocco nel mare. Le precipitazioni alimentano così, se pur in modo discontinuo, le falde acquifere nel deserto e le rinnovano impercettibilmente, grazie a un processo lungo anche centinaia di anni.
CONDENSAZIONE
Il vapore acqueo è contenuto, seppur in quantità ridotta, anche nell’aria calda del deserto. Durante la notte, due fattori determinano un alto grado di escursione termica con il calo repentino della temperatura: l’aria più secca e l’assenza di vegetazione. A contatto con il suolo che ha raggiunto una temperatura molto bassa, il vapore acqueo presente nell’aria, si condensa e si trasforma in piccole gocce d’acqua, depositandosi sul terreno. Si produce così il fenomeno chiamato condensazione.
WADI
I deserti del Sahara e d’Arabia erano un tempo terra fertile, ricca di acque. Anche oggi è quindi possibile identificare il tracciato dei fiumi preistorici, gli wadi, che costituiscono l’antica rete idrografica scolpita nei sedimenti di arenaria, o nelle rocce calcaree, con profondi canyon. Vi sono wadi nei quali l’acqua, originata dalle piogge sui massicci montuosi, scorre in misura ridotta, ma ancora in superficie. Su quelle antiche rive sorgono perciò Oasi che la sfruttano direttamente attraverso sbarramenti, deviatori d’acqua, chiuse e dighe. Più spesso gli wadi, prosciugati da millenni, restano comunque in secca tutto l’anno. Nei suoli alluvionali circostanti e sotto ai loro letti, l’acqua continua però lentamente a scorrere. Attraverso gli infero-flussi, residuo di precipitazioni su rilievi molto lontani, si rigenerano così le falde superficiali.E’ il patrimonio idrico nascosto al quale attingono – attraverso le gallerie drenanti e i pozzi – ancora altre Oasi, insediate lungo il percorso del wadi. Anche a distanza di decenni accade però che gli abitanti assistano all’arrivo di piene improvvise, capaci di riempire tumultuosamente gli alvei, quando non si tratta di vere alluvioni con esiti addirittura catastrofici.
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Captazione idrica → Sistemi tradizionali
GALLERIE DRENANTI
Le gallerie drenanti che ancora in parte garantiscono il rifornimento idrico nelle Oasi, sono sistemi tradizionali di captazione: ampi tunnel sotterranei, forniti di pozzi di areazione. Utili anche alla manutenzione dell’impianto, i pozzi vengono scavati in profondità, a intervalli regolari. Lungo il tracciato in leggera pendenza verso la zona coltivata dell’Oasi, l’acqua scorre infatti per gravità, all’interno di vasti cunicoli lunghi anche decine di chilometri. Le gallerie drenanti sono presenti in tutta l’area sahariana e arabica, ma non solo. L’esempio più antico sono infatti i Qanat o Kariz costruiti in Iran prima del 1000 a.C. e utilizzati per sfruttare le acque di falda soprattutto ai piedi delle montagne: oltre 20.000 impianti tutt’ora in esercizio, per più di 250.000 km. Con la stessa funzione, in Africa e nella penisola Arabica, si conservano sistemi con molti elementi in comune, anche se utilizzano, a seconda del contesto ambientale, fonti di approvvigionamento diverse e modalità di captazione che possono variare: le Ngoula o Kriga tunisine, gli Shridj yemeniti, in ambedue questi paesi ormai ridotte a poche unità; le Khettara in Marocco, con un funzionamento paragonabile a quello dei Qanat, ma ormai solo qualche centinaia; le Foggara in Algeria, oltre un migliaio, di cui almeno la metà ancora attive, impiantate da più di un millennio. Il nome Foggara, usato anche per descrivere le gallerie drenanti delle Oasi libiche, secondo una teoria accreditata deriverebbe dall’arabo Fakara (scavare). Altri autori optano per un’origine dal termine arabo El Fokr (la povertà): destinato a cadere in miseria sarebbe infatti colui che partecipa all’impresa di scavare per anni una Foggara, un investimento eccessivo di tempo e di denaro. A certificare l’utilità delle gallerie drenanti sono però gli oltre 3000 Aflaj ancora in uso e risalenti al 500 a.C., che garantiscono in larga parte l’irrigazione in Oman, Patrimonio dell’Umanità Unesco (2006). Ne esistono di tre tipi: i Ghaili che captano le acque dagli wadi, gli Aini che amministrano le risorse idriche perenni, i Daoudi che – come i Qanat iraniani e le Khettara marocchine – drenano l’acqua delle falde freatiche a ridosso delle montagne. Ad accrescere la portata idrica delle gallerie drenanti è il sapiente sfruttamento del fenomeno della condensazione, che inizia dopo il calar del sole: il vapore acqueo contenuto nell’aria, venendo a contatto con le superfici – che in ambiente desertico si raffreddano rapidamente – bagna non solo il terreno circostante, ma anche le pareti interne dei pozzi collocati lungo il tracciato. L’aria, entrando nei pozzi, produce quindi le minuscole goccioline di condensa e queste confluiscono nel cunicolo, aumentando il volume di acqua che scorre per gravità fino al suo sbocco, nella zona coltivata dell’Oasi. Ma il fenomeno non avviene solo di notte. Di primo mattino, all’interno della galleria, quando la temperatura esterna comincia a salire, il movimento dell’aria si inverte. Attraverso i pozzi, il suolo riscaldato risucchia verso l’esterno – in senso inverso allo scorrimento delle acque – l’aria umida del palmeto, dove l’umidità si conserva grazie alla vegetazione. Anche durante il giorno, accade così che il vapore acqueo continui a condensarsi nella galleria.
Struttura
Gallerie scavate nella roccia su terrazzamenti di montagna per far confluire il residuo infiltrato delle acque meteoriche. Il tracciato è rettilineo, piuttosto corto e necessita di pochi pozzi di aereazione. Nelle Oasi che si trovano ai piedi delle montagne, l’andamento della galleria si fa invece sinuoso a causa dell’eterogeneità dei suoli e il percorso si allunga – anche per aumentare il drenaggio dagli acquiferi – mentre cresce il numero dei pozzi, necessari per la manutenzione. Facendo largo uso di cisterne per l’accumulo, nell’Oasi viene così garantito un ciclo produttivo continuo, che consente la rotazione delle colture tipica del sistema agricolo tradizionale.
Fonte d’approvvigionamento
Quando le gallerie non intercettano i torrenti montani che scorrono verso valle, come ad esempio nel particolate tipo di aflaj omaniti (daoudi) l’acqua viene captata attingendo alle falde freatiche nello strato roccioso permeabile che sovrasta l’ubicazione dell’Oasi.
Struttura
Gallerie di scavo che si diramano dall’alveo del fiume preistorico, captandone sia i residui flussi, che le infiltrazioni e i micro-flussi convogliati nel wadi per via sotterranea. Nelle Oasi di wadi, come quelle del wadi Hadramaut nello Yemen e del wadi Roufi e Saoura in Algeria o ancora quelle del Dades, del Draa e dello Ziz marocchini, la presa d’acqua è a monte, a una quota più elevata rispetto alle coltivazioni organizzate su terrazzamenti paralleli al corso del fiume. I palmeti vengono così raggiunti seguendo la pendenza del terreno, per semplice scorrimento gravitazionale. Nei periodi in cui i flussi superficiali sono ridotti o assenti, l’acqua viene estratta anche tramite pozzi, pescando nella falda che il wadi avrà contribuito a rinnovare, grazie ai sistemi di dighe interrate che hanno consentito l’infiltrazione nei terreni. Nel passato, in tutta l’area sahariana e arabica, venivano utilizzati i caratteristici pozzi a bilanciere muniti di un contrappeso montato su imponenti piloni di terracruda (khottara, Algeria; khaduf, Egitto). Ne esiste ancora qualche esempio in Oman, dove il sollevamento si fa con l’ausilio di asini e buoi aggiogati.
Fonte d’approvvigionamento
Quando il magro corso d’acqua è ancora perenne, l’apporto idrico, nell’Oasi, è garantito con regolarità. Più spesso il fiume rimane in secca per decenni. In generale l’acqua – che le gallerie provvedono a drenare o i pozzi ad estrarre – è presente solo nei sedimenti del sottosuolo, nell’alveo del fiume fossile e nell’area circostante, dove scorre grazie agli infero-flussi. Anche le piene improvvise sono in grado di infiltrare i terreni e rinnovare le falde freatiche superficiali. Si utilizzano a questo scopo sbarramenti costruiti in profondità nel letto del wadi, la cui manutenzione deve essere effettuata regolarmente nei periodi di siccità.
Struttura
Gallerie drenanti (foggara in Algeria e Libia, khettara in Marocco) lunghe anche 20 km. Sono ampi cunicoli scavati in leggera pendenza nel sostrato di roccia calcarea delle grandi dune, per consentire lo scorrimento sotterraneo dell’acqua con un’erosione minima dell’alveo. Lo scavo ha inizio dal luogo dove si trova la zona agricola dell’Oasi e prosegue risalendo la duna in pieno deserto. Alle volte il percorso ha un andamento a zig zag, per mantenere la velocità del deflusso. Le gallerie vengono collegate alla superficie attraverso pozzi di areazione perpendicolari al tracciato – disposti in genere da 5 a 22 metri di distanza l’uno dall’altro, profondi fino a 20 metri, a seconda della pendenza. Si assicura così il rifornimento idrico sia ai villaggi – dove si trovano le vasche di decantazione sotterranee per l’acqua di uso domestico – che ancora più in basso, ai palmeti. I pozzi – che rendono visibile il tracciato con i caratteristici piccoli crateri formati in superficie dai detriti di scavo – hanno un ruolo imprescindibile nel sofisticato meccanismo delle foggara: oltre a garantirne l’aereazione e a sfruttare i fenomeni di condensazione, mantengono la pressione interna pari a quella atmosferica – facilitando lo scorrimento dell’acqua – e sono la via di accesso per effettuare le frequenti manutenzioni.
Fonte d’approvvigionamento
Viene captata l’acqua dei grandi Acquiferi sahariani che in vaste aree del deserto si trova non lontano dalla superficie. Il sistema della galleria drenante è studiato in modo da utilizzare unicamente quella porzione che non rischia di provocare l’abbassamento della falda. Nello scavo confluiscono anche i micro-flussi che drenano l’umidità delle sabbie dell’erg, frutto di rare piogge, ma soprattutto di quella condensazione che viene assorbita dal suolo, dovuta all’elevata escursione termica, un contributo non indifferente alla portata idrica del sistema.
Struttura
Gallerie drenanti (come la foggara di Timimoun, in Algeria ) molto simili a quelle di Erg, ma scavate non lontano dal bordo delle ampie e profonde depressioni ellittiche dal fondo salino, gli antichi bacini disseccati della preistoria (sebkha o chott). Affacciati sulla sponda della sebkha, proprio come insediamenti costieri di un lago, si trovano i villaggi, con i palmeti più in basso. Il tracciato delle gallerie inizia nel punto dove sono collocate le coltivazioni dell’Oasi, per poi procedere a ritroso salendo verso l’altipiano, con tunnel che finiscono per trovarsi a notevole profondità. Lo scopo è quello di intercettare e drenare i micro-flussi sotterranei che le piogge hanno infiltrato nel sostrato roccioso sulle alture del deserto e che una volta immessi nella rete idrografica della preistoria, convergono sotterraneamente e lentamente nello sbocco terminale rappresentato dalle depressioni. La galleria ha la funzione di captare gli infero-flussi prima che giungano nel sottofondo del grande bacino ed evaporino, rilasciando in superficie uno spesso strato di sale. La struttura che recupera l’umidità dalle sabbie è quella classica delle gallerie drenanti, con i caratteristici pozzi di areazione verticali, utili non solo per la manutenzione, ma anche per la ventilazione che facilita i meccanismi di condensazione e percolazione. Anche in questo caso la pendenza dello scavo è minima, per indurre lo scorrimento gravitazionale ed evitare l’erosione.
Fonte d’approvvigionamento
Le gallerie drenanti di sebkha, sono situate in zone iper-aride. Lungo tutto il percorso dello scavo captano quindi in profondità la portata idrica – spesso notevole – dei micro-flussi che scorrono in direzione di quell’impluvio naturale che è il centro di convergenza di acque provenienti dagli altipiani desertici. La lunghezza della galleria, che fornisce acqua attraverso il drenaggio, la condensazione e la percolazione, ha quindi un’importanza cruciale: dalla quantità di risorsa idrica recuperata, dipende la quantità di terreno che potrà essere strappato al deserto e diventare coltivabile. La possibilità di estensione della galleria verso il fondo della sebkha, ha però un limite: la salinizzazione del terreno dovuta all’evaporazione, aumenta infatti in modo esponenziale, scendendo verso il centro della depressione. E’ così che nell’Oasi, quando cresce la popolazione, è necessario scavare nuove foggara a una certa distanza da quelle esistenti per fornire acqua a un nuovo villaggio e ai suoi palmeti, sempre ai margini della stessa sebkha.
Distribuzione idrica → Sistemi tradizionali
SEGUIA
In superficie, allo sbocco dei dispositivi idraulici, si trova il punto di adduzione dell’acqua interno all’Oasi. E’ questo luogo in cui la portata viene originariamente misurata per attribuirne l’uso, facendola scorrere attraverso una piccola piastra perforata in rame (hallafa). Fin quando restano in vigore regole condivise che si fondano sulla tradizione, questa suddivisione viene poi stabilmente trasferita nel ripartitore in pietra a forma di pettine (kesria). Il flusso è quindi smistato, con turni prefissati o a orario, attraverso canalette in terra cruda, in modo esattamente corrispondente ai diritti di proprietà di ognuno. Diritti originati all’epoca in cui la costruzione dell’impianto ha avuto termine e stabiliti in base al contributo dato da ognuno all’impresa. E’ così che la quota d’acqua viene poi trasmessa per via ereditaria e frazionata in seguito a matrimoni e compravendite. Per questo motivo l’acqua scorre, all’interno dell’Oasi, attraverso un sistema molto intricato di canalizzazioni a cielo aperto in terra cruda (seguia) inframezzate da ulteriori pettini divisori. Il punto di arrivo è il piccolo invaso di stoccaggio individuale nella parcella coltivata (majen) dove ogni proprietario la raccoglie per irrigare il suo “giardino”, a settori e secondo tempistiche che variano con le stagioni e le necessità agricole.