Occorre dire che, nelle prime fasi della nostra esplorazione web, si è materializzato un viatico importante: gli studi che hanno codificato la sapienza della civiltà delle Oasi, frutto delle ricerche “sul campo “ di Pietro Laureano, architetto e urbanista, massimo esperto e consulente Unesco per le zone aride. Abbiamo in seguito iniziato a verificare, sia i grandi progetti finanziati per milioni di dollari come quelli di Banca Mondiale attraverso GEF, che l’efficacia di azioni promosse da valenti Associazioni europee come Terrachidia, e in ambito filantropico, ad esempio, Bambini nel deserto e Enfants du désert. Nel corso della nostra ricognizione abbiamo poi virtualmente incontrato, all’ombra dei palmeti delle Oasi, uno stuolo di professori universitari americani, belgi, inglesi, italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e i loro studenti, impegnati in workshop differenti. Agronomi, antropologi, archeologi, architetti, ingegneri: nel Database Oasi è archiviato il resoconto del loro lavoro in ogni sua forma, dalle tesi di laurea alle pubblicazioni delle riviste accademiche, tutto ciò che, fino ad ora, siamo riusciti a reperire nelle capienti biblioteche universitarie on line. Allo stesso modo registriamo la competenza dei loro colleghi negli Atenei del Maghreb o in Oman e gli studi propedeutici a interventi “sul terreno” degli Istituti Agronomici di Marocco, Tunisia, Algeria. Notiamo che, più di mezzo secolo fa, al Cairo già esisteva Desert Research Center, ancora oggi centro propulsore di specifica attività di ricerca e che il Marocco ha di recente creato un organismo apposito, Andzoa, avendo da tempo inaugurato Programmi nazionali di grande interesse per la salvaguardia delle Oasi marocchine. Osserviamo che l’Oman ha dato il via, anche avvalendosi di Archiam, a una poderosa campagna di recupero del patrimonio architettonico, oltre che degli antichissimi sistemi di irrigazione delle Oasi, gli Aflaj, già classificati come World Heritage Sites da Unesco. Nel Database Oasi includiamo Fondazioni internazionali, The Getty Conservation Institute, Agha Khan Trust For Culture, Intbau, che possono vantare il sostegno a importanti interventi di restauro degli edifici storici nelle Oasi in Marocco e annoveriamo esperienze come quella del Khalifa Date Palm Award, in grado di stimolare la ripresa della produzione agricola in alcune Oasi. Elenchiamo anche, grazie allo straordinario lavoro di messa in rete operato da Raddo con Cari, le innumerevoli Associazioni attive nelle comunità locali, quei soggetti che danno corso ad azioni coordinate da NGO come Tenmiya in Mauritania e Cospe in Egitto, dove anche SlowFood ha istituito un Presidio, per i datteri dell’Oasi di Siwa. Abbiamo accertato che il Ministère de l’Environnement et du Développement Durable a Tunisi ha ultimato la monografia delle Oasi di quel Paese, utile modello di riferimento per studi comparati; possiamo dare il necessario rilievo al programma GIAHS che Fao ha in corso dal 2002, con il quale ha grandemente contribuito a valorizzare i sistemi e le pratiche tradizionali che hanno dato vita al paesaggio storico delle Oasi nord-africane. Non ultimo, con il Database Oasi, vogliamo anche offrire lo spunto per un’analisi storico-temporale dei flussi finanziari che, negli ultimi 30 anni, hanno sovvenzionato tutta una serie di attività – di cooperazione allo sviluppo- nelle Oasi sahariane e arabiche. Fondazione LabOasis lo propone quindi, nel suo insieme, come strumento di lavoro a studiosi ed esperti internazionali, con l’auspicio che attraverso la loro collaborazione possa continuare ad arricchirsi di contenuti e registrare sempre nuovi progetti, a tutela dei luoghi della millenaria alleanza tra uomo e natura: le Oasi.